Tutto questo dovrebbe, in conclusione, far pensare che la lingua del cinema sia fondamentalmente una «lingua di poesia». Tali archetipi sono profondamente diversi da quelli della memoria e dei sogni: sono cioè brutalmente oggettivi, appartengono a un tipo di «comunicazione con gli altri» quanto mai comune a tutti e strettamente funzionale. Per es., Le chien andalou di Buñuel, è dichiaratamente eseguito secondo un registro di pura espressività: ma, per questo, ha bisogno del cartello segnaletico del surrealismo. Tuttavia le metafore particolari, volute specificamente, hanno sempre in sé qualcosa di inevitabilmente rozzo e convenzionale. Anche Godard, naturalmente, fa il solito gioco: anch’egli ha bisogno di uno «stato dominante» del protagonista, per avallare la sua libertà tecnica: uno stato dominante nevrotico e scandaloso nel rapporto con la realtà. Ma non linguistica. Insomma, la metafora sfumata, appena percettibile, l’alone poetico di un millimetro di spessore – quello che distacca di un soffio e di un abisso il linguaggio di «A Silvia» dal linguaggio petrarchesco-arcadico istituzionale – nel cinema non parrebbe possibile. Il discorso diretto corrisponde, nel cinema, alla «soggettiva». Poesia, cinema, società di Mirko Grasso su AbeBooks.it - ISBN 10: 8875530920 - ISBN 13: 9788875530921 - Edizioni Dal Sud - 2004 - Brossura Il fatto che non vi si sentisse la macchina da presa, significava che la lingua aderiva ai significati, mettendosi al loro servizio: era trasparente fino alla perfezione; non si sovrapponeva ai fatti, violentandoli attraverso le folli deformazioni semantiche che si devono alla sua presenza come continua coscienza tecnico-stilistica. } Il camminare soli per la strada, anche con le orecchie otturate, è un continuo colloquio fra noi e l’ambiente che si esprime attraverso le immagini che lo compongono: fisionomie di gente che passa, loro gesti, loro cenni, loro atti, loro silenzi, loro espressioni, loro scene, loro reazioni collettive (mucchi di gente ferma ai semafori, affollamenti intorno a un incidente stradale o intorno alla donna-pesce a Porta Capuana); inoltre: cartelli segnaletici, indicazioni, direzioni rotazionali in senso antiorario, e insomma oggetti e cose che si presentano cariche di significati e quindi «parlano» brutalmente con la loro stessa presenza. Non la si sentiva. Aveva 53 anni, la gran parte dei quali spesi nel e per la letteratura, il cinema, il teatro, il giornalismo, sempre imbevuti delle sue idee pungenti e spesso anticonformiste. Per esempio, quei due o tre fiori violetti sfuocati in primo piano, nell’inquadratura in cui i due protagonisti entrano nella casa dell’operaio nevrotico: e quegli stessi due o tre fiori violetti, che ricompaiono nello sfondo – non più sfuocati, ma ferocemente nitidi – nell’inquadratura dell’uscita. Ma devo insistere: se le immagini o im-segni non sono organizzate in un dizionario e non possiedono una grammatica, sono però patrimonio comune. È questa una contraddizione così intrigante, che va osservata bene, nelle sue ragioni e nelle sue connotazioni tecniche più profonde. Capisco che Uccellacci e uccellini tratta certi aspetti del cinema italiano, ma vorrei conoscere con maggior precisione la sua posizione nei confronti di Rossellini e del neorealismo. Anche del loro rapporto col mondo è caratteristica l’ossessione: l’attaccamento ossessivo a un particolare o a un gesto (e qui interviene la tecnica cinematografica, che può, ancor meglio che la tecnica letteraria, esasperare le situazioni). ecc. La ricostruzione dei generi nel cinema di Quentin Tarantino, L'apporto alla critica e alla cultura cinematografica di Pietro Bianchi, Cinecittà 1950/60 tra bussiness e mondanità una nuova Hollywood sul Tevere dalle pagine dell'Europeo, La crisi delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche in Italia negli anni 2000, Ecologia del delitto - Il noir di Johnnie To (1988-1999). Do il mio consenso affinché un cookie salvi i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento. La poesia vi è interna: come mettiamo nei racconti di Cechov o di Melville. Pasolini, Moravia e l'Indi ANALISI DEI SEGUENTI TESTI: E. De luca, Il pannello G. Pontiggia, ilprezzo del mondo P.Levi, Sandro J. Joyce, Eveline P.P Pasolini, Il Riccetto e la rondine Laboratorio di scrittura Il riassunto La mappa e la scaletta Il tema. Esprimere tale visione interiore richiede necessariamente una lingua speciale, coi suoi stilismi e i suoi tecnicismi compresenti all’ispirazione, che, essendo appunto formalistica, ha in essi insieme il suo strumento e il suo oggetto. Opere di Pasolini Il pensiero e la poetica di Pasolini sono evidenti nelle sue opere principali. Pasolini … L’istituzione linguistica, o grammaticale, dell’autore cinematografico è costituita da immagini: e le immagini sono sempre concrete, mai astratte (è possibile solo in una previsione millenaristica concepire immagini-simboli che subiscano un processo simile a quello delle parole, o almeno delle radicali, in origine concrete, che nelle fissazioni dell’uso, sono diventate astratte). Il suo esordio nel cinema è nel 1961, anno in cui esce il suo primo film, Accattone, attraverso il quale diventerà uno tra i più importanti registi italiani e attraverso il quale vi sarà una ripresa di quel concetto neorealista precedentemente sviluppato e al quale verrà applicata la sua ideologia marxista. Tale insistenza sui particolari, specie su certi particolari degli excursus, è una deviazione rispetto al sistema del film: è la tentazione a fare un altro film. Godard manca completamente di classicismo, altrimenti si potrebbe parlare, per lui, di neo-cubismo. Cinema e letteratura. È insomma la presenza dell’autore, che trascende il suo film, in una libertà abnorme, e minaccia continuamente di piantarlo, per la tangente di un’ispirazione improvvisa, che è poi l’ispirazione latente dell’amore per il mondo poetico delle proprie esperienze vitali. La serie degli «stilemi cinematografici», così nati e catalogati in una tradizione appena fondata e ancora senza norme se non intuitive e direi pragmatiche – coincidono tutti con dei processi tipici dell’espressione specificamente cinematografica. E si inserisce in quel movimento, in qualche modo grandioso, dell’evoluzione, possiamo dire antropologica, della borghesia, secondo le linee di una «rivoluzione interna» del capitalismo: cioè il neocapitalismo che mette in discussione e modifica le proprie strutture, e che, nella fattispecie, riattribuisce ai poeti una funzione tardo-umanistica: il mito e la coscienza tecnica della forma. Pasolini rappresenta un caso particolare e certamente il più emblematico del Novecento di come cinema e letteratura possano essere il prodotto alto di un solo autore. Tale lingua tende a porsi ormai come diacronica rispetto alla lingua della narrativa cinematografica: diacronia che sembrerebbe destinata ad accentuarsi sempre più, come accade nei sistemi letterari. Per mezzo di questo meccanismo stilistico, Antonioni ha liberato il proprio momento più reale: ha potuto finalmente rappresentare il mondo visto dai suoi occhi, perché ha sostituito, in blocco, la visione del mondo di una nevrotica, con la sua propria visione delirante di estetismo: sostituzione in blocco giustificata dalla possibile analogia delle due visioni. Questo ha voluto dire che esso ha subito una violentazione del resto abbastanza prevedibile e inevitabile. Il saggio di Umberto Eco (che, per la precisione, e del 1965) concorda con le ricerche di Pasolini regista (che risalgono agli anni 1965-1966) su una questione fondamentale: e cioè sul fatto che non si debba parlare, circa la ‘scrittura’ cinematografica, di “letterarietà” del cinema, dato che, avendo il cinema … Non vi si possono prendere in considerazione, perché non ci sono, delle lingue speciali, dei sublinguaggi, dei gerghi: delle differenziazioni sociali, insomma. Questo fa supporre che, poiché evidentemente il cinema a una vera e propria normatività grammaticale non potrà mai pervenire, se non, per così dire, a una grammatica stilistica – ogni volta che un autore cinematografico deve fare un film è costretto a ripetere quella doppia operazione che dicevo. Del resto, anche uno scrittore se per ipotesi rivive il discorso di un personaggio socialmente identico a lui, non può differenziarne la psicologia attraverso la lingua – che è la sua stessa – ma attraverso lo stile. Ecco dunque un terzo modo di affermare la prevalente artisticità del cinema, la sua violenza espressiva, la sua fisicità onirica. La borghesia, insomma, anche nel cinema, ridentifica se stessa con l’intera umanità, in un interclassismo irrazionalistico. Nel cinema di poesia invece il protagonista è lo stile. Il dolore che ne ho avuto ancora mi brucia dolorosamente. Ma anche questo fatto è contraddetto: la breve storia stilistica del cinema, infatti, a causa della limitazione espressiva imposta dall’enormità numerica dei destinatari del film, ha fatto sì che gli stilemi fattisi subito sintagmi nel cinema, e rientrati dunque nell’istituzionalità linguistica, siano molto pochi, e in fondo rozzi (si ricordi l’eterno esempio delle ruote della locomotiva; l’infinita serie di P.P. Trasformerò dunque momentaneamente la domanda: «È possibile nel cinema una “lingua della poesia”?», nella domanda: «È possibile nel cinema la tecnica del discorso libero indiretto?». (Dove ho visto quella persona? Ne nasce l’insistenza che si fa ossessiva: in quanto mito della sostanziale e angosciosa bellezza autonoma delle cose. Pasolini, Il padre selvaggio, Torino, Einaudi,… Al contrario, la purezza delle immagini cinematografiche, da un contenuto surrealistico, viene esaltata anziché offuscata. Ma gli im-segni – come abbiamo visto – hanno anche altri archetipi: l’integrazione mimica del parlato e la realtà vista dagli occhi, coi suoi mille segni strettamente segnaletici. Per l’autore cinematografico, invece, l’atto che è fondamentalmente simile, è molto più complicato. E può essere dunque definita un monologo interiore privo dell’elemento concettuale e filosofico astratto esplicito. Non esistono dunque, in realtà, degli «oggetti bruti»: tutti sono abbastanza significanti in natura per diventare segni simbolici. Sono gravissimi, ma vitali, al di qua del limite della patologia: rappresentano semplicemente la media di un nuovo tipo antropologico. Ma come è stata possibile a Antonioni questa «liberazione»? Scrittore e regista cinematografico, nato a Bologna il 5 marzo 1922 e morto a Ostia (Roma) il 2 novembre 1975. I due momenti di tale operazione sono: I) L’accostamento successivo di due punti di vista, dalla diversità insignificante, su una stessa immagine: cioè il succedersi di due inquadrature che inquadrano lo stesso pezzo di realtà, prima da vicino, poi un po’ più da lontano; oppure, prima frontalmente e poi un po’ più obliquamente; oppure infine addirittura sullo stesso asse ma con due obiettivi diversi. Quanto a Antonioni (Il deserto rosso), non vorrei soffermarmi sui punti universalmente riconoscibili come «poetici», e che pure son molti, nel film. Se dovessi definire questa distinzione direi che nel cinema di prosa i protagonisti, come nei romanzi classici, sono i personaggi, la loro storia e il loro ambiente.

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